Ma perché vanno all’indietro? Scugnizzi rugbisti a Scampia e la giardiniera di Chef Rubio

Ma perché vanno all’indietro? Scugnizzi rugbisti a Scampia e la giardiniera di Chef Rubio

Ma perché vanno all’indietro? Che razza di sport è questo rugby? Sono le domande sceme che ti rimbalzano nella testa da neofita. Non capisci ma ti piace, perché più di altri sport è davvero simile alla vita. Il ruolo in cui giochi, i rapporti di forza, la consapevolezza di sé, le illusioni, essere un collettivo, lottare per appartenere a una squadra, e soprattutto la paura: imparare ad affrontarla o tirarsi indietro. Quando incontri ragazzini come Megalo e Masaniello è come incontrare piccoli da zero in condotta, fantastici Antoine Doinel moltiplicati per due. Ti aprono casa e ti aprono il cuore, si mettono in mostra e si nascondono, mixano la saggezza millenaria di un replicante di Blade Runner con la tenacia di un personaggino errante di Miyazachi. Seguendo loro scopri una Secondigliano e una Scampia altre, fatte di ragazzi alla riscossa (come quelli dell’associazione Larsec, o del Mammut) in mezzo al poco o nulla, fantastici salamini di Jacovitti che sbocciano tra gli stereotipi delle “paranze” di camorra, in quella che è ancora la piazza di spaccio più grande d’Europa. Per questo ‘O RUGBILL è un anti-Gomorra. Mostra una Scampia diversa, che prova a cambiare e che in parte è già cambiata, perché ci sono piccoli eroi comuni che vanno a scuola, fanno sport e resistono. Dei due ragazzini, Masaniello e Megalo, non puoi non innamorarti. Sono della generazione degli “sdraiati” di Serra, ma giganteggiano come fossero adolescenti di Truffaut o di De Seta. E ti senti male quando devi lasciarli. Quando escono dal quartiere, per raggiungere lo stadio Albricci dove si allenano ogni giorno, dicono che vanno a Napoli. E la nonna gli fa mille raccomandazioni “perché Napoli è pericolosa”, si sa, mica come Secondigliano e Scampia.
Masaniello è furbo, ha la battuta sempre pronta, la strada la conosce bene. Megalo è forte, grosso, due occhietti come fessure, taciturno, sa incassare i colpi, ma al momento giusto reagisce e nessuno lo ferma. Sono amici per la pelle. Masaniello osserva tutto e poi trova il suo posto, ti controlla il conto della pizzeria per capire se ti hanno trattato bene, ha da ridire sul titolo del documentario, ‘O Rugbill: “perché la gente poi pensa che davvero si dice rugbìll e sbaglia!”, ti telefona dopo l’ultimo giorno di riprese e ti chiede se è davvero finita e non ci vediamo più. Megalo “tiene l’ignoranza del pilone” – come dice lui – ma in realtà è l’intellettuale del mitico duo. Ama la musica da morire, ascoltatore onnivoro e acutissimo, passa da Murolo, a Verdi, Pino Daniele, Skin e Max Gazzè. Pop e retrò mixed in un ragazzino di 14 anni è qualcosa di miracoloso. Ha due sogni: il numero 1 andare in nazionale, il numero 2 fare il cuoco. Guasconi guaglioni che tengono ”la cazzimma”, una sorta di sana e spavalda cattiveria che cresce solo tra chi è nato e pasciuto tra miserie e fetenzie sociali, tra la pasta e patate delle mamme e le scorribande di piccole canaglie, a stretto contatto con chi ha preso le strade della disonestà. I luoghi sono magici e mostruosi (letteralmente prodigiosi come dicevano i latini). La Secondigliano della piazzetta Di Nocera, riconoscibile cuore vecchio di un paesotto di campagna. Quando il quartiere non era ancora Napoli ma campagna. La Scampia delle Vele – fuori dall’epopea criminale di Gomorra – la piazza simbolo Giovanni XXIII che sembra la Philadelphia proletaria di Rocky Balboa, la struggente bellezza di Bagnoli, nel golfo di Pozzuoli di fronte Nisida. Sei lì, sulla spiaggia d’inverno, il mare calmissimo, il cielo nuvoloso, qualche barca di pescatori, frigoriferi per gelati abbandonati tra sedie di plastica rotte e mondezza, un ratto a pelo d’acqua sulla battigia, a lato ciò che resta dell’Italsider e della Citta della Scienza carbonizzata. E’ così mostruoso, straordinario per deformità e grandezza, così bello che niente lo può distruggere. Dal telefonino di Megalo partono le note di “Terra mia” di Pino Daniele. Megalo è un genio, vero dj dell’anima, e aggiunge così dal vivo un nuovo tassello al jukebox della colonna sonora del documentario. La musica che ci gira dentro ha i ritmi e le sonorità hip hop della nuova onda napoletana, come ‘A67, Fuossera o Pepp Oh, tra le punte di diamante del collettivo G.A.S. Family, che mischiano il groove del Funk e del Soul ai ritmi del “Neapolitan Power”. Come canta Pepp Oh: “canto chell ch’vivo e rest’ positiv, scriv’ sincero e pienz ca song’o cattiv, schif’a chi me vo appestà abbraccio a chi me vo abbraccià, spirito e materia e ll’Area Nord-N.A. Canto chell ch’vviv e nunn è nu lamient, chesti parol no, nun se’pport ‘o vient, cant’ pa’ggenta mí e pe chi me vo sentí..Area Nord Mentality”. Girando il documentario ‘O Rugbill (in anteprima su DMAX) ho incontrato persone speciali. Senza di loro questa piccola fatica non si sarebbe mai realizzata. Il primo che ho conosciuto è stato ‘o Capologo, nome di battaglia di Salvio Esposito, che lavora dagli anni ’80 con i ragazzini di Scampia e in progetti con i giovani carcerati di Nisida. E’ un ex giocatore di rugby, psicologo dello sport e psicoterapeuta, “capologo” appunto perché cura la “capa”. Ma soprattutto è “malato di rugby”, come dice lui. Lo sport con quel pallone che, a Napoli, chiamano “a cucuzielle”. “Il rugby è il re degli sport, è un po’ una malattia da cui non si guarisce per chi l’ha giocato”. Salvio ha un sogno: portare 1000 ragazzini di Napoli a giocare rugby per strada, lo “street rugby”. Tra le prime cose che mi ha detto mi sono rimaste impresse queste: “che a Napoli ci sia la solidarietà della famiglia è totalmente falso. Qui i ragazzini sono soli in balia di se stessi e della strada. Il mio obiettivo è che giochino come tutti gli altri. Perché questi ragazzi fisicamente sono molto predisposti, forse perché sono cresciuti in strada. In queste condizioni il rugby è una scommessa che spesso si perde. Per sua tradizione il rugby si giocava nei college, era uno sport di elite. Salvaguardare il compagno, cercare e dare il sostegno, tutti concetti che qui a Scampia non esistono. La cosa più difficile qui non è insegnargli a giocare e allenarli, ma fargli capire le regole del rugby: dare e prendere sostegno. Perché nel rugby le regole vanno rispettate, non per cavalleria sportiva, ma perché se no non si vince”. Salvio ha la pazienza jedi del vecchio Yoda, spiega e rispiega, va in giro per le classi delle scuole elementari di Scampia a fare proseliti per il rugby, coinvolge presidi, allenatori, ragazzini. Quando parli con Salvio vengono fuori sempre delle buone idee, che poi ti dice che sono tue, ma in realtà le ha tirate fuori lui. Come quella del finale del documentario che non si trovava, e poi è saltata fuori così: facciamo la partita dei due capitani a Scampia, per strada, non sul campo di rugby. E portiamoci due capitani famosi, due che ce l’hanno fatta. Così abbiamo catapultato a Scampia il Nazionale azzurro, Leone del Benetton Treviso, Angelo Esposito, insieme a Gabriele Rubini, classe 1983, in arte Chef Rubio, cuoco sex symbol del programma cult “Unti e bisunti”, ex rugbista. Rubio giocava in terza linea:”devi interrompere il gioco avversario e ricostruirlo facendo da sostegno alla squadra. Quando sei in difesa, devi placcare in aiuto della linea dei tre quarti. In attacco, invece, devi fare da sostegno. Devi tappare i buchi. È un lavoro sporco. Quasi mai messo in risalto. Solo chi conosce davvero il rugby capisce se stai giocando bene o male”. Adesso è re dello Street Food, che comunque con il gioco del rugby mantiene affinità. Il cibo di strada è cibo del popolo. È cultura e tradizione, insomma. I suoi scrittori preferiti sono Haruki Murakami, Chuck Palahniuk, Irvine Welsh, Bukowski. Per strada o al bar a Roma o a Scampia non puoi girare con lui che lo fermano per selfie e autografi. E’ sceso alla stazione di Napoli centrale e siamo andati a prenderlo, aveva la faccia buia di uno che ha viaggiato in carro merci, pure se veniva dal freccia rossa. Era stato male durante la notte. Ma al secondo incontro ci siamo rifatti. Mi ha consigliato di fare da me la giardiniera sottoaceto per la ricetta di insalata russa di nonna Giovannina: cavolfiore, peperone, sedano, carota bollite in acqua e aceto. E mi si è aperto un mondo. Grazie Chef Rubio!

 

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